La Tecnica Socket Shield

Una promettente metodica di implantologia nei post-estrattivi

La ricerca implantologica è al lavoro per lo sviluppo di nuove tecniche e metodologie che possano rivelarsi soluzioni efficaci ai problemi che gli odontoiatri si trovano ad affrontare quotidianamente. Di particolare importanza, soprattutto negli ultimi anni, è la volontà di massimizzare il successo estetico dell’area interessata dall’intervento implantologico: il paziente si aspetta di raggiungere in breve tempo condizioni estetiche ottimali e che diano l’impressione di naturalezza e buona salute.

Soprattutto nei casi post-estrattivi, cioè in quei casi di inserimento di impianto a seguito di estrazione dentale, le preoccupazioni estetiche e funzionali sono giustificate perché si assiste fisiologicamente a una perdita di volume dei tessuti sia molli che duri.

Chiaramente, si potrebbe agire con tecniche di rigenerazione ossea tradizionale (GBR, socket preservation…) cioè con l’ausilio di biomateriali compatibili in accoppiata con membrane di vario tipo e composizione che vanno a soppiantare il materiale osseo mancante. Queste tecniche, tuttavia, non garantiscono sempre risultati sicuri e stabili nel tempo. È da considerare inoltre che la socket-preservation allunga le tempistiche complessive: bisogna infatti attendere l’osteointegrazione prima di poter procedere con la protesizzazione finale[1].

Recentemente però ci si è chiesti se non esistesse un modo più efficace e conveniente, dal punto di vista operativo e biologico, di performare implantologia post-estrattiva, utilizzando ad esempio il materiale osseo autologo del paziente.

Proprio seguendo quest’ultima intuizione, l’avanzamento degli studi ha permesso l’ideazione di un particolare protocollo implantologico denominato Socket Shield. In pratica, questa tecnica si prefigge di mantenere nel sito implantare parte della radice del dente che sarà estratto, sotto forma di sottile lamella, per creare un vero e proprio scudo (shield) di supporto sulla parete buccale che altrimenti potrebbe cedere. Questo collasso comporterebbe, come anticipato, problematiche di riassorbimento dei tessuti difficilmente prevedibili e che genererebbero un’incognita sulla realizzazione dei profili estetici.

L’adozione della tecnica Socket Shield, invece, sembrerebbe ridimensionare notevolmente questo rischio perché la porzione buccale della radice è mantenuta, per preservare il legamento periodontale e il bundle bone (osso di legamento)[1], considerati gli elementi fondamentali per il mantenimento degli equilibri strutturali tissutali e per non incorrere nei rischi sopracitati.

Ma quindi l’applicazione della Socket Shield può sempre essere considerata corretta?

Si tratta sicuramente di una metodica delicata a causa delle sue complessità operative che implicano quindi elevate capacità chirurgiche richieste all’odontoiatra. È inoltre una tecnica ancora giovane, relativamente poco esplorata e con una letteratura scientifica di supporto non ancora amplissima, il cui riscontro è sicuramente incoraggiante, ma non ancora in modo inconfutabile.

In attesa di poter consultare nuovi studi, rimane una potenziale alternativa interessante in quei casi che lo permettono.

B&B Dental ha parlato di questa tecnica in uno dei suoi Webinar Pills, se te lo sei perso guardalo subito qui!

[1] https://www.zerodonto.com/2019/01/la-tecnica-socket-preservation/

[1] https://www.bebdental.eu/download/materialecorsi/Corso_Roma_SISS-B&B-Dental.pdf

[1] Socket Shield Technique for immediate implant placement – clinical, radiographic and volumetric data after 5 years, Daniel Bäumer,Otto Zuhr,Stephan Rebele,Markus Hürzeler, 2017.

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